venerdì 13 giugno 2014

In The Flesh: Recensione dell’episodio 2.06 – Episode 6




Quando ho recensito, qualche settimana fa, il terzo episodio di questa stagione di In The Flesh avevo sottolineato come, nonostante la storyline orizzontale avesse dovuto acquistare un ampio respiro rispetto alla prima stagione, l'intimità del racconto non era andata persa. Purtroppo giunta al sesto e ultimo episodio, su quest'aspetto devo fare un passo indietro. In The Flesh, sia chiaro, resta uno dei prodotti più originali degli ultimi anni, soprattutto perché tratta il tema degli zombie in un'ottica poco inflazionata, con un brillante utilizzo di metafore sociali tutto sommato ben gestite. Qualcosa, però nel complesso della stagione è venuto a mancare, l'impressione sembra che dalla storyline che era stata ideata avrebbero potuto tirar fuori almeno il doppio degli episodi ma per ragioni di produzione hanno dovuto condensare il tutto in solo 6. Praticamente il problema opposto alla prima stagione, dopo la storia era stata pensata proprio per essere narrata in tre episodi. L'episodio finale, risulta a mio avviso un po' deludente con colpi di scena, se così vogliamo chiamarli, un tantino telefonati e veloci.  La storyline di Maxine e il fatto che avesse messe in moto tutto per far si che il fratello risorgesse, era ben chiaro già da un paio di episodi com'era chiaro che aveva perso un po' il contatto con la realtà, spunti invece molto interessanti sui quali però l'episodio ha solo sorvolato: il ritorno alla vita di Amy. Questo, infatti, è stato il fulcro interessante su cui mi aspettavo maggior concentrazione ma che, con tutta probabilità, rappresenterà la storyline della prossima stagione (se mai ci sarà!).
Amy, infatti, muore per la seconda volta e sicuramente questo evento sarà parte della mitologia della serie; la seconda morte potrebbe rappresentare proprio il tassello essenziale per il secondo risveglio. Non a caso, nelle battute finali, notiamo che anche Kieran inizia ad avere degli strani sintomi, identici a quelli che Amy aveva avuto all'inizio della trasformazione. Altro aspetto importante, secondo me, troppo poco approfondito se consideriamo le dinamiche spiccatamente drammatiche più che fantascientifiche della serie, è la questione Kieran e famiglia. Anche qui, si risolve tutto un po' troppo velocemente per i miei gusti; è chiaro che soprattutto il padre e Jem avevano da sempre più di una riserva su Kieran e vederlo senza "maschera" per quello che è realmente li ha messi nella condizione, per la prima volta, di doversi scontrare e rapportare con la sua diversità. Fin qui siamo tutti d'accordo, ma da questo ad arrivare a chiuderlo in camera nell'attesa che venga mandato al centro di recupero per poi ripensarci e corrergli incontro mentre e sotto l'effetto della micidiale droga per riportarlo allo stato rabbioso, è piuttosto spiazzante nonché troppo repentino. Mi è mancata l'intensità di questo passaggio, di questo cammino di accentazione. E viene spontaneo paragonare questi momenti con quelli del finale della prima stagione è mancato quel pathos quel coinvolgimento dello spettatore alle sorti dei personaggi. Dov'è l'emozione, l'angoscia, l'ansia? Come dicevo nell'introduzione, viene logico pensare che con un po' di episodi in più tutto quello che appare solo accennato sarebbe stato invece ben approfondito. Due cose, ho invece apprezzato molto: la madre di Philip che vince la palma come miglior genitore dell'anno e viene naturalmente messa a paragone con la madre di Kieran; quest'ultima intenta a organizzare la fiera del paese, come se fare altro potesse cancellare la vera natura del figlio e la prima che invece si congratula perché finalmente Philip si è aperto a qualcuno e ha scelto di amare. D'altronde chi ama non giudica e la madre di Philip accetta Amy per quello che è, andando più in le delle apparenze e questo messaggio che poi è il fil rouge della serie, arriva forte e chiaro! Ho trovato quel "Good Choice" così commovente, in grado di esprimere veramente l'amore di un genitore. Infine c'è Kieran che combatte naturalmente il blu oblivion, perché la paura di fare del male a qualcuno è talmente inaccettabile per lui, che finalmente sceglie di accattarsi a 360 c° e sente così il bisogno di restare nel luogo in cui è cresciuto invece che scappare altrove. La scrittura su questo personaggio ha mantenuto perfettamente le promesse della prima stagione mi è piaciuta molto l'evoluzione e la sua crescita. Dico invece un "ni" a Simon e alla coppia a tutti costi. Era impossibile per chi ha amato la prima stagione, riuscire ad accettare totalmente Kieran e Simon dopo che avevamo conosciuto la straziante storia con Rick. Sì, probabilmente c'è un po' di masochismo ad amare le storie difficili e contrastate ma questa con Simon mi è parsa un ripiego e un "contentino" per i fan. Chissà se sapranno farcelo amare un po' nella prossima stagione che spero venga prodotta nonostante BBC Three sia stato chiuso e reso visibile solo online.
Il bilancio finale è positivo, tuttavia la seconda stagione di In The Flesh non è riuscita a reggere il difficile confronto con la precedente per le ragioni spiegate, ci lascia però con un bel cliffhanger: chi sono i tizi che scavano nella tomba di Amy?  La rivedremo viva? Considerazioni sparse:
in the flesh_206-3- Per rispondere alla mia domanda di chiusura: Spero di sì, perché senza Emily Bevan che In The Flesh sarebbe? Non possiamo scaricare certo tutta la stagione sulle spalle del bravissimo Luke Newberry. E poi diciamolo se Simon e Kieran non mi hanno appassionato, ci hanno pensato Amy e Philip a intenerirmi!
- La chiusura di BBC Three ha fatto ventilare la possibilità che la terza stagione di In The Flesh venga trasmessa online con lo stesso criterio del network Netflix.
- Solo io ho sperato per tutti e sei gli episodi che ci fosse il secondo risveglio, così che Rick tornasse dal mondo dei morti?

venerdì 6 giugno 2014

Mad Men: Recensione dell'episodio 7.07 - Waterloo

Sono sette anni che Mad Men va in onda e ormai abbiamo appurato che è uno di quei pochi prodotti che possiamo definire, a ragione: capolavori! Ho sempre cercato di dare la giusta importanza alle parole e per questo motivo, per scelta, nel mio vocabolario raramente uso parole così totalizzanti e definitive, per Mad Men devo fare un'eccezione. Perché, sì, siamo di fronte a un esempio di scrittura intelligente, brillante che ha alzato l'asticella di molto sulla qualità dei prodotti televisivi. Questo finale di metà stagione, ci ricorda, nel caso ci fosse bisogno, perché questa serie è così perfetta da poterla definire arte. Ogni cosa che avviene è un tassello del grande puzzle composto elegantemente da Weimar in questi sette anni. La gravidanza negata di Peggy, nella prima stagione, non è stata certo messa in un cassetto, è una ferita viva, l'ha resa quello che è ora tanto da poterci far leggere in una luce particolare la sua amicizia con il bambino che abita nel suo stabile. Elizabeth Moss continua a donare parti di sé a questo splendido e intenso personaggio che giunti a questo punto della serie, alla chiusura del cerchio, non può non commuoverci con quell'abbraccio al piccolo Julio, con il quale ha stretto un rapporto materno. Sono questi particolari, proposti sempre in modo elegante e misurato e mai urlato, che ci faranno sentire fortemente la nostalgia di questa serie, dopo l'ultimo segmento di stagione finale.
Ma a fornire la cornice storica e metafora di rifermento a questo finale di stagione, è lo sbarco sulla luna del  1969. L'uomo sembra aver raggiunto un traguardo inarrivabile ma la sua inesorabile natura finita lo rende soggetto alle cadute. Mentre Neil Armstrong poggia un piede sulla superficie lunare, Bert Cooper cade per sempre. I corpi sono soggetti alla caduta e Bert non fa eccezione.  La reazione dei soci della SC&P dopo un momentaneo senso di smarrimento è come ci ha abituato Mad Men, estremamente cinica.  Cutler coglie l'occasione subito per far notare che con la morte di Bert, il voto per tenere Don nella compagnia si è perso, solo Roger appare il più provato ma è anche l'unico che sa quando giocare l'asso nella manica. Ottiene, infatti, un accordo per diventare una filiale della McCann e tenere, così, il traballante Don al suo posto. Lo sappiamo, ai soldi pochi riescono a dire di no, e, nonostante qualche resistenza da parte di Ted che sta attraversando una crisi esistenziale molto profonda e vorrebbe lasciare il lavoro, la fusione viene votata all'unanimità. E' Roger, quindi, a tenere ancora tutti insieme.
La metafora dello sbarco sulla luna come approdo e meta inarrivabile è utilizzata anche per raccontarci il successo di Peggy. Amo il lavoro fatto su questo personaggio, già l'ho spiegato nell'apertura della mia recensione, ma trovo incantevole come ci abbiano mostrato questo salto definito di Peggy; spalleggiata da Don ha l'opportunità di presentare la sua campagna senza dover essere relegata al suo ruolo di genere, come imponeva Pete di voce materna. Maternità alla quale Peggy ha preferito la carriera ma che ritorna sempre a indicarle il suo passato e presente.
Mad Men, per ora, termina con Robert Morse che chiude il sipario tornando a fare quello per cui  è noto al grande pubblico americano: un musical. L'attore, infatti, è vincitore di un Tony Awards per How to Succeed in Business Without Really Trying. Termina, con un episodio splendido ma lasciandoci una sensazione d'incompiutezza. L'idea di tagliare a metà l'ultima stagione, come fatto per Breaking Bad, mal si accorda a questo tipo di serie a mio avviso. Ci lascia, ancora una volta, con Don che raccoglie i pezzi di un altro matrimonio finito conscio di essere ancora più solo al mondo, fatta eccezione per quel filo che gli impedisce di cadere: i suoi figli. La telefonata a Sally ci ricorda, se c'è ne fosse bisogno che l'unica donna che può veramente salvare Don da se stesso è Sally Draper.

lunedì 2 giugno 2014

The Normal Heart, il cast parla dei retroscena!

Premessa: se non avete visto The Normal Heart vergognatevi profondamente e andate subito a recuperarlo con una buona scorta di fazzoletti!! Se lo avete visto, invece potete vedere quest' intervista fatta al cast, dove si parla di retroscena del film
 Se invece vi sono rimasti i fazzoletti, qui c'è il podcast dove Ryan Murphy parla del dimagrimento di Matt Bomer, che per interpretare Felix Turner ha dovuto perdere 18 kg. Secondo quanto racconta Murphy arrivando a rischiare la sua salute, considerato che l'attore è già normopeso. Adesso, come minimo Matt Bomer e Mark Ruffalo  meriterebbero la candidatura agli Emmy Awards!! Ma tanto, sappiamo bene come vanno queste cose, no?
Comunque, vedete il film... ah sì, già l'avevo detto!!
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