venerdì 6 giugno 2014

Mad Men: Recensione dell'episodio 7.07 - Waterloo

Sono sette anni che Mad Men va in onda e ormai abbiamo appurato che è uno di quei pochi prodotti che possiamo definire, a ragione: capolavori! Ho sempre cercato di dare la giusta importanza alle parole e per questo motivo, per scelta, nel mio vocabolario raramente uso parole così totalizzanti e definitive, per Mad Men devo fare un'eccezione. Perché, sì, siamo di fronte a un esempio di scrittura intelligente, brillante che ha alzato l'asticella di molto sulla qualità dei prodotti televisivi. Questo finale di metà stagione, ci ricorda, nel caso ci fosse bisogno, perché questa serie è così perfetta da poterla definire arte. Ogni cosa che avviene è un tassello del grande puzzle composto elegantemente da Weimar in questi sette anni. La gravidanza negata di Peggy, nella prima stagione, non è stata certo messa in un cassetto, è una ferita viva, l'ha resa quello che è ora tanto da poterci far leggere in una luce particolare la sua amicizia con il bambino che abita nel suo stabile. Elizabeth Moss continua a donare parti di sé a questo splendido e intenso personaggio che giunti a questo punto della serie, alla chiusura del cerchio, non può non commuoverci con quell'abbraccio al piccolo Julio, con il quale ha stretto un rapporto materno. Sono questi particolari, proposti sempre in modo elegante e misurato e mai urlato, che ci faranno sentire fortemente la nostalgia di questa serie, dopo l'ultimo segmento di stagione finale.
Ma a fornire la cornice storica e metafora di rifermento a questo finale di stagione, è lo sbarco sulla luna del  1969. L'uomo sembra aver raggiunto un traguardo inarrivabile ma la sua inesorabile natura finita lo rende soggetto alle cadute. Mentre Neil Armstrong poggia un piede sulla superficie lunare, Bert Cooper cade per sempre. I corpi sono soggetti alla caduta e Bert non fa eccezione.  La reazione dei soci della SC&P dopo un momentaneo senso di smarrimento è come ci ha abituato Mad Men, estremamente cinica.  Cutler coglie l'occasione subito per far notare che con la morte di Bert, il voto per tenere Don nella compagnia si è perso, solo Roger appare il più provato ma è anche l'unico che sa quando giocare l'asso nella manica. Ottiene, infatti, un accordo per diventare una filiale della McCann e tenere, così, il traballante Don al suo posto. Lo sappiamo, ai soldi pochi riescono a dire di no, e, nonostante qualche resistenza da parte di Ted che sta attraversando una crisi esistenziale molto profonda e vorrebbe lasciare il lavoro, la fusione viene votata all'unanimità. E' Roger, quindi, a tenere ancora tutti insieme.
La metafora dello sbarco sulla luna come approdo e meta inarrivabile è utilizzata anche per raccontarci il successo di Peggy. Amo il lavoro fatto su questo personaggio, già l'ho spiegato nell'apertura della mia recensione, ma trovo incantevole come ci abbiano mostrato questo salto definito di Peggy; spalleggiata da Don ha l'opportunità di presentare la sua campagna senza dover essere relegata al suo ruolo di genere, come imponeva Pete di voce materna. Maternità alla quale Peggy ha preferito la carriera ma che ritorna sempre a indicarle il suo passato e presente.
Mad Men, per ora, termina con Robert Morse che chiude il sipario tornando a fare quello per cui  è noto al grande pubblico americano: un musical. L'attore, infatti, è vincitore di un Tony Awards per How to Succeed in Business Without Really Trying. Termina, con un episodio splendido ma lasciandoci una sensazione d'incompiutezza. L'idea di tagliare a metà l'ultima stagione, come fatto per Breaking Bad, mal si accorda a questo tipo di serie a mio avviso. Ci lascia, ancora una volta, con Don che raccoglie i pezzi di un altro matrimonio finito conscio di essere ancora più solo al mondo, fatta eccezione per quel filo che gli impedisce di cadere: i suoi figli. La telefonata a Sally ci ricorda, se c'è ne fosse bisogno che l'unica donna che può veramente salvare Don da se stesso è Sally Draper.

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